Chatbot, gli assistenti cibernetici
“In cosa posso esserle utile?” La frase standard che ascoltiamo continuamente quando ci rivolgiamo all’assistenza telefonica per richiedere aiuto o segnalare un’anomalia.
Prima di raggiungere l’agognata domanda ci attende però una scia di loop musicali interminabili che qualche volta scoraggiano e spesso innervosiscono il cliente. Nell’era della velocità, del tutto e subito, attendere ci sembra impensabile, e a volte impossibile. Per sopperire all’esigenza di essere sempre disponibili e sempre pronti, molte aziende si rivolgono ai Chatbot, ovvero a delle intelligenze artificiali che prevedono software progettati con algoritmi in grado di riprodurre una conversazione con un utente allo stesso modo di un essere umano.
Anche in questo settore c’è stata una rapida evoluzione, dai software che individuavano nella richiesta le parole chiave per dare risposte approssimativamente verosimili, con un funzionamento simile ai motori di ricerca, fino ad arrivare a chatbot che sfruttano sistemi NLP – Natural Language Processing, simulando in tutto e per tutto una conversazione umana. Ma questo è solo un aspetto dei nuovi segretari del web; potendo interagire con le app di ciascun dispositivo, riescono a tracciare un’identità virtuale dell’utente affinando sempre con maggiore precisione consigli, indicazioni e proposte. Inoltre, essendo delle vere e proprie Machine Learning, riescono ad imparare dagli errori e dunque offrono un servizio che migliora nel tempo, consolidando dunque il rapporto con l’utente.
In tal caso non parliamo di robot “tradizionali”, piuttosto possiamo definire i chatbot come robot virtuali che possiamo interrogare tramite un’app oppure in modalità online accedendo ad uno specifico sito.
Esempi molto conosciuti sono sicuramente Siri, per dispositivi Apple, e Cortana, assistente Windows, il cui pacchetto di informazioni da elargire al cliente è strettamente legato al funzionamento dei dispositivi su cui sono installati.
Ma il progresso di tali bot è dietro l’angolo; Nadia, per esempio, è un chatbot realizzato dal governo australiano per fornire informazioni utili ai portatori di disabilità. Il software di Nadia le permette di leggere ed interpretare le espressioni facciali e gli stati d’animo tramite la telecamera del device con il quale si è connessi, cosa che semplifica certamente la comunicazione con chi ha difficoltà del linguaggio o disabilità legate al movimento degli arti.
Un esempio di assistente virtuale di ultimissima generazione è certamente Amelia, sviluppata dalla IPsoft, azienda statunitense che si occupa di fornire tutti gli strumenti necessari per l’assistenza al cliente. L’interazione con Amelia risulta semplificata dal fatto che si presenta allo schermo dell’utente come un ologramma, mettendo a suo agio l’interlocutore.
Certamente questo avatar non ci sbalordisce perché capace di dialogare in trenta lingue differenti, ma piuttosto perché è in grado di contestualizzare le informazioni che riceve e di correlarle tra loro, di comprendere le sfumature del linguaggio, di percepire dal tono della voce lo stato d’animo, ma soprattutto, di ricercare in rete un’informazione qualora non ne sia direttamente a conoscenza e ovviamente di apprenderla. Soprattutto questa caratteristica finale rende i comportamenti di Amelia molto più vicini a quelli umani rispetto al classico “Informazione non presente in archivio” a cui generalmente eravamo abituati.
Sicuramente i chatbot come Amelia potranno ridurre i tempi di attesa dei clienti in tutti quei settori, in particolar modo pubblici, dove una grande quantità di persone richiedono informazioni ad ampio spettro. Riuscendo ad ottenere segretari così specializzati, in grado di annullare lo stress derivante da un lavoro ripetitivo e a contatto con il pubblico, attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza alcuna interruzione, i clienti saranno in buona parte soddisfatti ma probabilmente non potremo dire lo stesso di coloro i quali ad oggi svolgono lo stesso lavoro. È l’inevitabile avanzamento della tecnologia che però, dobbiamo ricordare, non elimina posti di lavoro, piuttosto ricolloca il personale in altri settori, richiedendo altre abilità che le macchine ancora non posseggono.
A cura di Ilaria Marrazzo.